Con la sentenza Cass. Pen., Sez. IV, 19 maggio 2016, n. 20984, la Corte di appello di Milano torna a pronunciasi sulla linea di confine tra la responsabilità del datore di lavoro e quella del preposto.
La Corte ha ribadito ancora una volta che il Preposto, che di regola svolge attività connesse alla vigilanza del luogo di lavoro, potrebbe rispondere per l’infortunio di un lavoratore solo nel caso in cui il lavoratore stesso abbia omesso di osservare le misure di prevenzione e non usi i dispositivi di sicurezza previsti dall’azienda. Nel caso in cui, invece, l’incidente sia riconducibile ad una carenza di organizzazione della sicurezza o alla presenza di rischi naturalmente connessi all’esercizio dell’attività aziendale la responsabilità è imputabile al datore di lavoro quale responsabile delle politiche di gestione della sicurezza dei propri lavoratori e di una errata gestione dei rischi.
Fatto
- Con sentenza resa in data 27/10/2015, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione in data 1/4/2015 con la quale il Tribunale di Sondrio ha condannato M.G.Z. alla pena di giustizia in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni del lavoratore S.S., In Villa di Tirano, il 16/10/2008. All’imputato, in qualità di titolare della ditta M.G.Z., datore di lavoro del prestatore infortunato, era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica e delle norme di colpa specifica indicate nel capo di imputazione, per aver omesso la valutazione dei rischi e l’adozione del corrispondente documento previsto dalla legge, con riguardo alle operazioni di vendemmia da svolgere nel quadro delle attività dell’azienda agricola dell’imputato. In particolare, nel caso di specie, il S.S., intento nelle operazioni di vendemmia, mentre raccoglieva l’uva dall’ultimo filare, arretrava fino a raggiungere a ritroso il bordo del muro di regimazione retrostante e, non accortosi del vuoto, precipitava da un’altezza di circa tre metri dal suolo riportando gravi lesioni personali comportanti una malattia della durata comunque superiore ai quaranta giorni.
- Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, censurando la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare il difetto di legittimazione del difensore delle persone offese a costituirsi parte civile, in assenza di alcuna valida procura speciale a ciò diretta. Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale per aver omesso di esaminare le specifiche responsabilità del preposto presente nell’occasione di specie, l’accertamento delle cui responsabilità avrebbe consentito di rilevare l’assoluta estraneità dell’imputato ad ogni profilo di colpa addebitabile a suo carico.
- All’odierna udienza il difensore della parte civile ha concluso riportandosi alle note scritte contestualmente depositate.
Diritto
- Entrambi i motivi di ricorso sono infondati.
- Con riguardo al profilo relativo alla legittimazione a costituirsi parte civile ad opera del difensore della persona offesa, vale evidenziare come la corte territoriale abbia correttamente ritenuto superata la questione attraverso il rilievo della esplicita volontà, manifestata dinanzi al giudice di primo grado da parte del lavoratore infortunato, di costituirsi parte civile attraverso il difensore ivi presente. Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il difetto di legittimazione all’esercizio dell’azione civile da parte del difensore, per difetto di procura speciale, è sanata mediante la presenza in udienza della persona offesa, che consente di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente (v., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 24455 del 22/04/2015, Rv. 263730).
- Quanto alla censura relativa all’asserito carattere assorbente della responsabilità del preposto, rispetto a quella del datore di lavoro, è appena il caso di rilevare come i giudici del merito abbiano attribuito l’evento lesivo alla responsabilità dell’imputato per avere quest’ultimo del tutto omesso di prevedere la benché minima forma di cautela in relazione a un rischio di evidente percepibilità in relazione al compimento delle ordinarie attività di vendemmia nell’azienda agricola dello M.G.Z.; si tratta, dunque, di un rischio naturalmente connesso all’esercizio dell’attività aziendale, suscettibile di riverberarsi sulla responsabilità del datore di lavoro quale primo responsabile delle politiche di gestione della sicurezza dei propri lavoratori; una vicenda di gestione di rischi connessi all’adozione scelte di fondo (e non già di una mera mancanza esecutiva eventualmente rimproverabile alle omissioni di un mero preposto) tipicamente riconducibile alla sfera di responsabilità del datore di lavoro (cfr. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, passim).
- Le considerazioni che precedono impongono la pronuncia del rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla costituita parte civile che liquida in complessivi euro legge.
Così deciso in Roma, il 13/4/2016
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