La Cassazione Penale, con la sentenza n. 14915 del 04 aprile 2019 ha confermato che:
“è indubbio che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente (già ai tempi del commesso reato), sul datore di lavoro gravi l’obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi che tali misure vengano osservate dai lavoratori. Ma nella maggioranza dei casi la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa [art. 2, co. 1, lett. d) d.lgs. n. 81/2008]; i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa [art. 2, co. 1, lett. e) d.lgs. n. 81/2008]. Pertanto, già nel tessuto normativo è previsto che il datore di lavoro vigili attraverso figure dell’organigramma aziendale che, perché investiti dei relativi poteri e doveri, risultano garanti della prevenzione a titolo originario.
Prendendo atto di tali previsioni questa Corte ha già scandito il principio secondo il quale, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017 – dep. 09/05/2017, Minguzzi, Rv. 269972)”
La Cassazione conclude la sentenza riportando il seguente principio di diritto:
“l’obbligo datoriale di vigilare sull’osservanza delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione dei rischi”.
Fatto
1.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Brescia con la quale A.G., A.N., B.A. e Z.O. erano stati giudicati responsabili del delitto di cui agli art. 40 cpv. e 589 cod. pen. e condannati alla pena per ciascuno ritenuta equa, mentre la Nolfa s.a.s. di A.G. & C. era stata giudicata responsabile dell’illecito di cui all’art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001 e condannata alla sanzione ritenuta equa, in relazione al decesso di E.C..
Il giudice di secondo grado ha infatti assolto lo Z.O. per non aver commesso il fatto e la società Nolfa dall’illecito amministrativo contestatole perché il fatto non sussiste; ha altresì concesso ai restanti imputati la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
2.La vicenda che ha dato origine ai predetti pronunciamenti attiene all’infortunio mortale occorso nel cantiere sito in via Verga a Pian Camuno il 13.7.2009, ove la Nolfa s.a.s. di A.G. & C. stava eseguendo lavori edili e si era verificato allorquando un manufatto in cemento prefabbricato denominato bocca di lupo aveva ceduto negli ancoraggi alla autogru che lo stava movimentando, cadendo in modo incontrollato e così investendo e schiacciando il E.C. che si trovava sul fondo dello scavo nel quale il manufatto doveva essere posizionato.
Ad A.G., quale socio accomandatario della Nolfa s.a.s., veniva ascritto di non aver previsto nel POS i rischi connessi alla movimentazione delle bocche di lupo e non aver somministrato delle procedure scritte per la loro movimentazione, di non aver formato il personale e di non aver dato direttive per l’imbracatura delle bocche di lupo nei punti di ancoraggio; ad A.N., preposto, veniva addebitato di aver disposto una errata manovra di ancoraggio del gancio della gru all’ultima coppia superiore dei fori laterali e di aver consentito che due operai, uno dei quali inesperto (appunto il E.C.), si trovassero nell’area sottostante il carico sospeso.
Alla B.A., titolare dell’impresa di costruzione del manufatto, veniva ascritto di averlo fabbricato in modo non conforme alle prescrizioni in materia di sicurezza e di averlo fornito privo di documentazione o di libretto di istruzione.
3.A.G. e A.N. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza elevando i seguenti motivi:
– in relazione ad A.G. la corte territoriale identifica un unico profilo di colpa, consistente nell’aver egli omesso di recarsi in cantiere per sei giorni, di assumere informazioni precise e dettagliate dal preposto e quindi di aver omesso di modificare il Pos originariamente redatto, come richiesto dalla modifica della originaria previsione di utilizzare delle bocche di lupo in vetroresina. In ciò il ricorrente coglie un vizio della motivazione perché è errato attribuire all’A.G. un’assenza di sei giorni quando tra il 7 luglio, data di trasporto in cantiere delle bocche di lupo, al 13 luglio 2009, data dell’infortunio, i giorni lavorativi furono solo tre; in secondo luogo non è vero che i lavori erano in una fase di criticità, dovendosi escludere che nei giorni immediatamente precedenti l’infortunio si fosse proceduto al getto delle fondamenta. Il c.t. del p.m., poi, aveva affermato che la posa delle bocche di lupo è attività di dettaglio non bisognevole di approfondimenti progettuali.
Per altro aspetto, aggiunge il ricorrente, la Corte territoriale non considera che era stato designato il CSE e che il preposto A.N. non era stato lasciato solo ad occuparsi della problematica. Quindi A.G. era consapevole che nel cantiere vi era un preposto e che il Coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione effettuava quotidianamente visite di esso.
Poiché l’imputato aveva disposto per l’uso delle bocche di lupo in vetroresina e non era mai stato informato del cambiamento non poteva aggiornare il POS.
Quindi non poteva prefigurarsi la verificazione dell’evento.
Quanto ad A.N., l’esponente rileva che già prima dell’incidente le bocche di lupo in cemento armato erano state movimentate e quindi non può essere rimproverato al preposto di aver deciso quali fori dovessero essere utilizzati per il sollevamento del manufatto invece di desistere dal dare corso alla movimentazione dello stesso, perché assenti le istruzioni. Né avrebbe avuto valenza impeditiva la misura di far costruire un basamento provvisorio perché anche in tal caso lo sganciamento del manufatto avrebbe prodotto il medesimo evento. Infine, non era esigibile la individuazione della ridotta misura della distanza tra il foro e l’estremo del manufatto, all’origine del cedimento della bocca di lupo.
Diritto
3.Il ricorso di A.G. è fondato.
3.1. In tema di reati colposi, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’obbligo di prevenzione gravante sul datore di lavoro non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche l’adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i lavoratori, purché ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell’evento (Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016 – dep. 03/02/2017, P.G., P.C. in proc. Ferrentino e altri, Rv. 270380). La responsabilità per colpa, infatti, non fonda unicamente sulla titolarità di una posizione gestoria del rischio (sulla quale Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, in motivazione) ma presuppone l’esistenza – e la necessità di dare applicazione nel caso concreto a – delle regole aventi specifica funzione cautelare, perché esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire che l’evento temuto si verifichi (cfr. Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015 – dep. 24/03/2016, P.G. in proc. e altri in proc. Barberi e altri, Rv. 267813). Dovere di diligenza e regola cautelare si integrano definendo nel dettaglio il concreto e specifico comportamento doveroso; ciò assicura che non si venga chiamati a rispondere penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di responsabilità oggettiva.
3.2. Nel caso che occupa la Corte distrettuale ha fondato l’affermazione di responsabilità pronunciata nei confronti di A.G. sul fatto che la sua mancata conoscenza della decisione di utilizzare bocche di lupo in cemento invece che in vetroresina fosse da ricondurre ad una violazione dell’obbligo del datore di lavoro di controllare fisicamente l’andamento dei lavori in cantiere: “era … onere primario del datore di lavoro informarsi, sia attraverso il preposto (che, come detto era anche il figlio) sia con visite frequenti sul cantiere, su quali fossero le fasi di avanzamento dei lavori e le eventuali problematiche”.
Ma non indica, la corte territoriale, quale sia, a suo avviso, la fonte donde trae la doverosità dello specifico comportamento descritto.
E’ indubbio che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente (già ai tempi del commesso reato), sul datore di lavoro gravi l’obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi che tali misure vengano osservate dai lavoratori. Ma nella maggioranza dei casi la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa [art. 2, co. 1, lett. d) d.lgs. n. 81/2008]; i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa [art. 2, co. 1, lett. e) d.lgs. n. 81/2008]. Pertanto, già nel tessuto normativo è previsto che il datore di lavoro vigili attraverso figure dell’organigramma aziendale che, perché investiti dei relativi poteri e doveri, risultano garanti della prevenzione a titolo originario.
Prendendo atto di tali previsioni questa Corte ha già scandito il principio secondo il quale, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017 – dep. 09/05/2017, Minguzzi, Rv. 269972).
Pertanto, anche in relazione all’obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in considerazione; il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli (tanto che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi ” contra legem”, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche: Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018 – dep. 08/06/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960). Ma quanto alle concrete modalità di adempimento dell’obbligo di vigilanza esse non potranno essere quelle stesse riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale, tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell’organizzazione aziendale (e viceversa).
L’assunto può essere sintetizzato nel seguente principio di diritto:
“l’obbligo datoriale di vigilare sull’osservanza delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione dei rischi”.
3.3. Calando tali premesse nel caso che occupa va rimarcato come un difetto di informazione circa l’andamento dei lavori non possa essere rimproverato al datore di lavoro per una sua assenza fisica dal cantiere o per non aver interloquito con il preposto, tanto più perché familiare; in realtà il dato rilevante è se e quali misure fossero state previste ed adottate per assicurare che quanto previsto nella valutazione dei rischi fosse osservato. Sotto tale profilo la corte territoriale avrebbe dovuto indagare, ove insuperata la circostanza della mancata conoscenza da parte del datore di lavoro della decisione di modificare il tipo di bocca di lupo da utilizzare, sulle ragioni ‘strutturali’ di tale carenza informativa, che equivale ad un fallimento della gestione del rischio delineata con il documento di valutazione a suo tempo redatto. Indagare su come erano strutturate le procedure di acquisto dei materiali e di controllo della corrispondenza di essi a quanto previsto nel documento di valutazione, onde verificare quali misure fossero previste per evitare che quanto disposto in quello fosse vanificato in concreto. Quindi indagare sulle direttive impartite al preposto per l’assicurazione dell’osservanza delle misure previste dal documento di valutazione e sulle modalità definite per l’assolvimento dell’obbligo di vigilanza sul medesimo. Nulla di tutto ciò emerge dalla sentenza impugnata, che opera valutazioni a partire da un erroneo presupposto giuridico.
Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata nei confronti di A.G., con rinvio alla Corte di Appello di Brescia per nuovo esame, da compiersi alla luce di quanto qui stabilito.
4.Il ricorso di A.N. è infondato.
4.1. Il ricorrente muove da talune premesse fattuali che non trovano corrispondenza in quanto accertato dai giudici di merito. Si assume che le bocche di lupo fossero già state movimentate; la corte distrettuale ha scritto che “non risulta in alcun modo provato che le bocche di lupo con quelle caratteristiche fossero state movimentate, prima dell’infortunio, agganciando le catene nel foro superiore distanziato dal bordo solo 5 cm.”.
Ancora il giudice di secondo grado ha chiarito che l’inidoneità di un aggancio delle catene nei predetti fori era percepibile da chiunque, proprio per la ridotta distanza tra il foro ed il bordo del manufatto.
Le ragioni che rendevano la realizzazione della base di appoggio una misura utilizzabile perché efficiente sono illustrate dalla corte in principal modo nel riferimento al minor tempo di sospensione del manufatto che ciò avrebbe determinato. L’affermazione del ricorrente che in ogni caso si sarebbe verificato l’evento è quindi meramente antagonista ed assertiva. Come tale essa non è in grado di identificare uno specifico vizio della motivazione impugnata.
4.2. Segue al rigetto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente all’imputato A.G. con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.
Rigetta il ricorso di A.N. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19/2/2019.
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