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Cassazione – responsabilità del datore di lavoro e delle figure intermedie

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Cassazione – responsabilità del datore di lavoro e delle figure intermedie

da | Nov 14, 2018

Cassazione - responsabilità del datore di lavoro e delle figure intermedieCon la sentenza 10740 del 09 marzo 2018, la Cassazione, con riferimento alle disposizioni di cui all’art. 18 comma 3-bis del D. Lgs. n. 81/08,  si occupa della responsabilità del datore di lavoro e delle figure intermedie di un’azienda nel caso di un infortunio occorso a un lavoratore .

In particolare, la Cassazione ricorda che anche nell’ambito di una struttura aziendale complessa, l’eventuale responsabilità del dirigente e del preposto, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, non esclude quella del datore di lavoro dell’azienda stessa. Piuttosto, si tratta di figure ipoteticamente concorrenti nel vasto settore della responsabilità ma, in ogni caso, la presenza dei due non esonera quella datore di lavoro
 
Fatto
1.La Corte di appello di Torino il 10 febbraio 2017, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Aosta del 23 aprile 2015 con la quale D.V. era stato riconosciuto colpevole di lesioni colpose nei confronti di F.S., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto contestato come commesso il 19 settembre 2013, e, in conseguenza, condannato alla pena di giustizia (multa di 1.000,00 euro), riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ha ridotto la pena (a 700,00 euro di multa); con conferma nel resto.
2.I Giudici di merito hanno ritenuto D.V., in qualità di datore di lavoro, responsabile delle lesioni patite dall’operaio dipendente F.S. che, intento con le mansioni di montatore alta tensione e tirafili ad accompagnare il sollevamento della catena di alcuni isolatori, che dovevano essere sostituiti, lungo un traliccio dell’alta tensione in Valle d’Aosta, tendendo la fune di ritorno e stando vicino alla catena, perdeva l’equilibrio e cadeva lungo un pendio, andando, infine, a sbattere contro una roccia sporgente dal terreno, provocandosi plurime fatture e contusione polmonare.
Il profilo di colpa individuato sussistente a carico dell’imputato, previamente incaricato dal Consiglio di amministrazione della s.p.a. Sirti di tutti i poteri e di tutte le responsabilità in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, è di tipo sia generico che specifico, in particolare per non avere correttamente progettato nel piano operativo di sicurezza l’operazione di sostituzione degli isolatori ed armamenti, non essendosi tenuto conto delle specifiche condizioni ambientali presenti all’interno del cantiere (art. 71, comma 2, lett. a e b, e punto n. 3.2.5. dell’allegato VI al d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, come modificato dal d. lgs. 3 agosto 2009, n. 106), cioè della forte inclinazione del pendio montano sul quale F.S. si era trovato ad operare: il P.O.S. infatti prevedeva solo i pericoli da sollevamento pesi in piano. Si è al riguardo osservato da parte di entrambi i Giudici di merito che la previsione di una linea vita cui stare agganciato durante l’attività svolta avrebbe di certo impedito di scivolare lungo il pendio scosceso.
3.Ricorre tempestivamente per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, affidandosi a due motivi, con i quali denunzia promiscuamente difetto motivazione e violazione di legge, quest’ultimo sotto il profilo di omissione della motivazione e di travisamento della prova.
3.1. Con il primo motivo si censurano entrambe le sentenze di merito sotto il profilo della corrispondenza tra l’editto di accusa ed il contenuto decisorio, avendo l’istruttoria smentito che F.S. sia caduto a causa della trazione della fune dell’argano (nell’editto si legge che, essendo andata in trazione la fune dell’argano ed essendosi mossa la catena, l’operaio subiva il relativo contraccolpo e cadeva):
-il Tribunale, infatti, discostandosi dal capo di imputazione elevato dal Pubblico Ministero, che aveva attributo l’infortunio ad un’erronea progettazione dell’operazione di sollevamento degli isolatori, operazione concepita in modo tale da non impedire quel contraccolpo che avrebbe causato la condotta del lavoratore, aveva individuato un particolare fattore di rischio nella forte inclinazione del pendio montano sul quale F.S. si era trovato ad operare e, in conseguenza, colpa del datore di lavoro nella mancata installazione di una linea vita alla quale il lavoratore si sarebbe potuto-dovuto ancorare, e ciò a prescindere dalla causa prossima dell’infortunio;
-la Corte di appello, sorvolando sulla descrizione del capo di imputazione, avrebbe ribadito che i rischi e le misure precauzionali non sarebbero stati contestualizzati, non essendosi tenuto conto della pendenza del cantiere, e che sarebbe stato irrilevante stabilire la causa immediata della caduta dell’operaio poiché, in quel concreto contesto fattuale, era prevedibile che una perdita di equilibrio, qualunque ne fosse il motivo, avrebbe cagionato un rotolamento, attesa la forte inclinazione del terreno.
Si sottolinea che la Corte di appello avrebbe disatteso le doglianze difensive svolte in appello (pp. 2-7 dell’impugnazione di merito) circa la concreta dinamica dell’infortunio e circa la colpa del datore di lavoro ed avrebbe addirittura travisato i fatti, collocando (alla p. 6 della sentenza impugnata) erroneamente il lavoratore sul pendio impervio e l’attrezzatura su di uno spiazzo sostanzialmente pianeggiante a monte del traliccio, mentre, in realtà, l’istruttoria (richiamati al riguardo nel ricorso parte dei contributi dei testi A.G., A.LB., Berno, la stessa relazione scritta dell’imputato dell’11 dicembre 2013 e le foto dei luoghi) avrebbe dimostrato che sia l’attrezzatura che il lavoratore erano in piano sul medesimo spiazzo, collocato appunto a monte del traliccio, e che il pendio iniziava a valle del piano e proseguiva in direzione del traliccio ed oltre. Ne discenderebbe la non necessità nel caso concreto di alcuna linea vita.
3.2. Mediante il motivo ulteriore si denunzia avere illegittimamente ed erroneamente superato il motivo di appello (pp. 7-11) incentrato sull’asserito conferimento ad altri della delega in materia di sicurezza (p. 8 della sentenza impugnata), pretendendo una delega scritta, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità ritenuta pertinente e che si richiama, e che dai documenti prodotti nel dibattimento (in particolare, P.O.S. del 5 settembre 2013, prodotto dal P.M. all’udienza del 20 marzo 2015, p. 5; dichiarazione allo stesso allegata sottoscritta da A.LB.; relazione in data 11 dicembre 2013 dello stesso Sirti, con allegati) emergerebbe che A.G. era il dirigente delegato alla sicurezza, che A.LB. era il preposto ed il responsabile della sicurezza nel cantiere e che la ditta Sirti, essendo una società di grandi dimensioni diffusa sul territorio nazionale, non può prescindere dalla suddivisione per settori, rami e servizi, dovendosi avere riferimento in concreto alla singola struttura aziendale, nella quale, appunto, A.G. e A.LB., in qualità, rispettivamente, di dirigente e di preposto, erano stati formalmente incaricati dei compiti di segnalare eventuali fattori di rischio non previsti, anche in via preventiva, in modo da poter sospendere i lavori ed informare la società affinché venisse aggiornato il P.O.S.
Diritto
1-Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1. Sotto il primo profilo denunziato, in base alla ricostruzione fattuale operata dai Giudici di merito non è emerso che il lavoratore sia caduto sicuramente per effetto del contraccolpo, avendo, comunque, perso l’equilibrio o per essere inciampato nella fune o a causa della pietre per terra o dell’erba, quindi scivolando verso valle (pp. 6-7 della sentenza impugnata e p. 2 della sentenza di primo grado): tuttavia, quale che sia stata la causa “immediata” della perdita di equilibrio dell’operaio, e pur ammettendo che il malcapitato si trovasse in un tratto in piano, l’assenza di una linea vita ha, comunque, fatto sì che F.S. sia rotolato sino ad andare, infine, a sbattere contro il traliccio, con rovinose conseguenze.
Discende l’infondatezza del relativo motivo di impugnazione, apparendo corretta la motivazione delle sentenze di merito (pp. 7 di quella di appello e p. 3 di quella del Tribunale), che stimano irrilevante la causa “immediata” della caduta, essendo il lavoratore, nella concreta situazione (pendio circostante e terreno bagnato), esposto al rischio, in concreto precedibile ed evitabile, appunto, dello scivolamento verso valle.
Del resto, secondo quanto accertato dai Giudici di merito, il P.O.S. era generico (p. 7 della sentenza impugnata) e non prevedeva quel tipo di attività da svolgersi in zone in pendenza.
1.2. Sotto il secondo profilo denunziato nel ricorso, l’eventuale responsabilità di A.LB. e di A.G., nelle qualità rispettivamente rivestite, non vale certo ad escludere quella di D.V.: si tratta di figure ipoteticamente concorrenti nel vasto settore della responsabilità ma, in ogni caso, la presenza dei due non esonera D.V., da considerarsi datore di lavoro, siccome incaricato dal Consiglio di amministrazione della s.p.a Sirti di tutti i poteri e di tutte le responsabilità in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (in conformità, peraltro, alle puntualizzazioni di Sez U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn ed altri Rv. 261108).
Corretta, inoltre, risulta la motivazione della sentenza impugnata (p. 8), allorché valorizza il mancato rispetto della forma scritta per l’eventuale delega da conferire eventualmente da D.V. ad altri, possibilità pur prevista dalla delibera n. 91 del 28 gennaio 2013 (prodotta dal Pubblico Ministero all’udienza del 20 marzo 2015 e citata alla p. 3 della sentenza di primo grado, alla 8 di secondo grado e alla p. 7 dell’appello). Infatti, posto che, ai sensi dell’art. 16 del d. lgs. n. 81 del 2008 la delega deve essere scritta e che la giurisprudenza citata dal difensore al riguardo è antecedente all’entrata in vigore della norma in questione, i documenti prodotti in atti a firma D.V. con oggetto conferimento dei ruoli di “construction manager” a A.G. Antonino del 18 febbraio 2013 e di “capo cantiere ” a A.LB. del 26 febbraio 2013, entrambi firmati dai dipendenti (ultime due pagine allegate al ricorso), non hanno, in realtà, il concreto contenuto di una delega scritta.
2.Consegue, in definitiva, la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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