Con la sentenza n. 32473, del 08 novembre 2021, la Cassazione Civile dichiara che non è indennizzabile l’infortunio accaduto a un lavoratore durante la “pausa caffè”
Nel caso specifico, infatti, è da escludere la indennizzabilità dell’infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell’ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffé, posto che la lavoratrice, allontanandosi dall’ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente.
Rilevato che
con sentenza n. 13545 del 2014, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INAIL avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto in parte la domanda proposta da R.B., impiegata presso la Procura della Repubblica di Firenze, nei riguardi dell’INAIL al fine di ottenere l’indennità di malattia per inabilità assoluta temporanea oltre all’indennizzo corrispondente ad un danno permanente del 10% in relazione ad un infortunio occorsale lungo il tragitto che stava percorrendo a piedi, in rientro da una breve < pausa caffè> il 21 luglio 2010;
il Tribunale, oltre a riconoscere che il rischio assunto dalla lavoratrice non poteva considerarsi generico, permanendo il nesso eziologico con l’attività lavorativa, posto che la pausa era stata autorizzata dal datore di lavoro ed era assente il servizio bar all’interno dell’ufficio, ha valutato la complessiva percentuale di invalidità considerando anche una precedente invalidità lavorativa;
la Corte d’appello ha confermato le motivazioni del primo giudice, ritenendo che l’evento fosse connesso ed accessorio all’attività di lavoro e non ricorresse una ipotesi di rischio elettivo;
avverso tale sentenza ricorre l’INAIL con un motivo, relativo alla violazione dell’art. 2 t.u. n. 1124 del 1965 e falsa applicazione dell’art. 12 d.lgs. n. 38 del 2000 ;
resiste con controricorso R.B.;
Considerato che
con l’unico motivo di ricorso, viene in sostanza dedotto che le circostanze caratterizzanti l’infortunio non sarebbero tali da consentirne la sussunzione nella nozione legale di occasione di lavoro delineata dall’art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965;
si evidenzia, in particolare, che la R.B. osservava un orario di lavoro continuato dalle ore 9,00 alle 15,00 e che aveva timbrato il cartellino in uscita il giorno 21 luglio 2009 per effettuare, insieme a due colleghe, la cosiddetta < pausa caffè> di metà mattina presso un vicino bar e che in tale frangente era caduta mentre percorreva un breve tragitto a piedi procurandosi un trauma al polso destro; si era trattato, dunque, di un rischio assunto volontariamente dalla lavoratrice non potendo ravvisarsi nell’esigenza, pur apprezzabile, di prendere un caffè i caratteri del necessario bisogno fisiologico che avrebbero consentito di mantenere la stretta connessione con l’attività lavorativa;
il ricorso è fondato;
la questione di diritto che il motivo propone è quella della corretta interpretazione dell’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, secondo il quale l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro;
la giurisprudenza di questa Corte di legittimità si è andata orientando ( vd. Cass. n. 6088 del 1995 ) nel senso di ritenere che la causa violenta in occasione di lavoro”, richiesta dall’art. 2 del t.u. approvato con d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 per la indennizzabilità dell’infortunio, è quella che dà occasione, appunto, ad alterazioni lesive legate alla prestazione lavorativa da nesso non meramente topografico-cronologico, ma di derivazione eziologica, quanto meno in via mediata e indiretta, non essendo l’assicurazione infortuni, secondo l’intento del legislatore del 1965, finalizzata a coprire i rischi generici, cui il lavoratore medesimo soggiace al pari di tutti gli altri cittadini, a prescindere cioè dall’esplicazione dell’attività lavorativa (a meno che non si tratti di rischi “aggravati” da peculiari circostanze, in presenza delle quali possa dirsi che è ancora una volta il lavoro ad offrire occasione per l’incontro della causa violenta con l’organismo dell’infortunato), nè ad apprestare una speciale tutela in favore del lavoratore per il solo fatto che al medesimo sia occorso, in attualità di lavoro, un qualsiasi evento che in qualche modo ne abbia leso l’integrità fisica o mentale (C. Cost. 27-7-1989 n. 462, e, da ult., Cass. 29-3-1993 n. 3744 e 13-10-1992 n. 11172; n. 8538 del 1997; n. 932 del 1999);
l’indennizzabilità, si è detto, non consegue alla mera circostanza che l’infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale, la sussistenza dell’anzidetto nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell’evento quanto l’esposizione a rischio dell’assicurato (Cass. 3744 del 1993 cit., in motivazione);
il rischio può esser quanto meno “improprio” ma giammai “elettivo” (scaturito cioè da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze, personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa, pur latamente intesa, con ciò stesso ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento);
nella nozione di “occasione di lavoro” così delineata, si esprime il requisito della professionalità del rischio, corrispondente alla specificità della tutela;
in fattispecie analoga alla presente, ( Cass. n. 4492 del 1997) ove l’infortunio si era verificato durante la pausa mensa al di fuori del cantiere edile ove l’infortunato prestava attività di lavoro e lungo il percorso seguito per raggiungere un vicino bar, si è disattesa l’opinione secondo la quale la pausa per il caffè faccia parte dell’ordinario articolarsi del lavoro in senso proprio, e si è precisato che ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio. ai sensi dell’art. 2 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124, mentre non è strettamente necessaria la circostanza che esso si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorre tuttavia che sussista sempre un nesso eziologico fra attività lavorativa e rischio assicurato, nel senso che il rischio indennizzabile a norma della legge citata, anche se non è quello insito nelle mansioni svolte dall’assicurato (c.d. rischio specifico), non può comunque essere totalmente estraneo all’attività lavorativa, come nel caso di rischio elettivo, scaturito cioé da una scelta arbitraria del lavoratore il quale, mosso da impulsi personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente l’attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento;
pertanto, non può essere ricondotta alla “occasione di lavoro” l’attività, non intrinsecamente lavorativa e non coincidente per modalità di tempo o di luogo con le prestazioni dovute, che non sia richiesta dalle modalità di esecuzione imposte dal datore di lavoro o in ogni caso da circostanze di tempo e di luogo che prescindano dalla volontà di scelta del lavoratore (Cass. n. 6088 del 1995, Cass. n. 11683 del 1995, Cass. n. 4298 del 1996, Cass. n. 10910 del 1996);
quando, dunque, l’infortunio si verifica al di fuori, dal punto di vista spazio-temporale, della materiale attività di lavoro e delle vere e proprie prestazioni lavorative (si verifica, cioé, anteriormente o successivamente a queste, o durante una “pausa”), la ravvisabilità della “occasione di lavoro” è rigorosamente condizionata alla esistenza di circostanze che non ne facciano venir meno la riconducibilità eziologica al lavoro e viceversa la facciano rientrare nell’ambito dell’attività lavorativa o di tutto ciò che ad essa è connesso o accessorio in virtù di un collegamento non del tutto marginale;
sulla scorta dei principi sopra enunciati, cui si intende dare piena continuità, è da escludere la indennizzabilità dell’infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell’ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffé, posto che la lavoratrice, allontanandosi dall’ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente;
del tutto irrilevante, infine, è la circostanza della tolleranza espressa dal soggetto datore di lavoro in ordine a tali consuetudini dei dipendenti, non potendo una mera prassi, o, comunque, una qualsiasi forma di accordo tra le parti del rapporto di lavoro, allargare l’area oggettiva di operatività della nozione di occasione di lavoro sopra delineata;
le censure mosse dall’INAIL sono dunque fondate per cui il ricorso va accolto;
la sentenza impugnata va cassata e, decidendo nel merito a norma dell’art. 384 primo comma c.p.c. – non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – la domanda proposta da R.B. va rigettata;
le spese dei gradi di merito e del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico di R.B. nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da R.B. e condanna la medesima al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 1800,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge, nonché alle spese del grado d’appello, che liquida in € 1800 per compensi oltre accessori di legge ed alle spese del giudizio di primo grado che liquida in Euro 1500,00 per compensi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 giugno 2021.
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