SOCIETÀ DI CAPITALI: CHI E’ IL DATORE DI LAVORO?
Con la Sentenza n. 49402 del 9 dicembre 2013 la Corte di Cassazione, Sezione Quarta penale, dichiara che « nelle società di capitali in tema di sicurezza sul lavoro, il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri gestionali e di spesa all’interno della stessa e quindi con i vertici della società con la conseguenza che gli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione.».
Di conseguenza, prosegue la Corte, possono coesistere all’interno della medesima impresa, più figure aventi tutte la qualifica di datore di lavoro sulle quali incombe l’onere di valutare i rischi per la sicurezza, di individuare le necessarie misure di prevenzione e di controllare l’esatto adempimento degli obblighi di sicurezza. Il principio del cumulo delle responsabilità non trova applicazione solo nel caso dell’esistenza di una DELEGA, esplicita o implicita, della posizione di garanzia, a soggetto preposto a garantire gli obblighi attinenti alla sicurezza.
Fatto
1. Con sentenza del 1/12/2011 la Corte d’Appello di Firenze confermava, quanto all’imputazione di omicidio colposo e alle statuizioni risarcitorie consequenziali in favore delle parti civili, la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto B.G. e L.G. responsabili del reato di cui all’art. 589 c.p. I predetti imputati erano ritenuti penalmente responsabili poiché, il B. nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione, nonché amministratore delegato-legale rappresentante della ditta “B.G. & I.” s.r.l., Impresa appaltatrice dei lavori, e il L. in quella di capo cantiere della medesima impresa, non avevano assicurato la predisposizione delle misure di prevenzione nel cantiere dove aveva trovato la morte il lavoratore D.A., il quale, mentre si trovava al secondo piano di un ponteggio metallico, era caduto procurandosi gravissime lesioni che ne determinavano il decesso. I giudici di merito rilevavano che il ponteggio, che serviva agli addetti per satire sul solaio in allestimento, era in cattivo stato di manutenzione, non era montato a regola d’arte (la parte che poggiava sul solaio risultava più elevata) ed era sprovvisto di tavola ferma piede; inoltre, i parapetti mancavano del corrente intermedio e la luce lasciata in senso verticale tra il corrente e il piano di calpestio era maggiore di cm 60. Mancavano, pertanto, le protezioni che avrebbero garantito il lavoratore dal pericolo di caduta.
1.2. La posizione di garanzia era individuata in capo al B. in ragione della sua qualità di datore di lavoro, in ragione dei fatto che il lavoratore, ancorché dipendente da altra ditta, era stato distaccato presso la società di cui il predetto era amministratore, alla quale competeva il potere direttivo nel cantiere.
La responsabilità del L. discendeva, invece, dal ruolo di capocantiere svolto per la ditta B..
2. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione gli imputati.
Il L. deduce, con il primo motivo, manifesta illogicità della motivazione. Osserva che l’A. era dipendente della ditta S.S. di B.S. e che il titolare della medesima era presente nel cantiere quando si verificò l’infortunio. Rileva che la Co
rte fiorentina aveva scagionato il B. sul rilievo che non risulterebbe provata l’ingerenza di quest’ultimo nella gestione e organizzazione dei lavori, mentre tale dato si scontrava con la logica, trattandosi di datore di lavoro che aveva distaccato solo formalmente i dipendenti ad altra ditta e si trovava in cantiere. Osserva che non poteva essere ritenuta risolutiva la considerazione che il contratto di subappalto fosse riferito solo ad opere di muratura e non a quelle di carpenteria in atto, dovendosi ritenere esteso il rapporto di subappalto intercorrente tra le medesime ditte ad altre opere realizzate presso il medesimo cantiere. Evidenzia che le deposizioni testimoniali rese dai dipendenti del B., ritenute attendibili con riferimento alle dichiarazioni atte a scagionare costui, erano state erroneamente valutate, dando prevalenza ad esse rispetto alle testimonianze rese dai dipendenti della ditta B..
Con il secondo motivo deduce mancanza e illogicità della motivazione in punto di determinazione della pena, poiché, a fronte di specifico motivo d’appello al riguardo, nessuna spiegazione sarebbe stata fornita riguardo all’individuazione della pena base in misura ben superiore al minimo edittale, anche in confronto con il trattamento sanzionatorio riservato agli altri imputati. Rileva, inoltre, che sussiste il lamentato vizio di illogicità della motivazione nel punto In cui si mette in correlazione la determinazione della pena base con l’intervenuta prescrizione che ha cancellato l’aumento di pena per le contravvenzioni. Evidenzia che la determinazione della misura della pena ha reso impossibile la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, come già rilevato nei motivi d’appello.
Il ricorrente deduce, infine, violazione di legge per la mancata concessione dell’indulto e Il rinvio della questione alla fase esecutiva, pur trattandosi di soggetto incensurato per il quale non ricorrevano rischi di plurime applicazioni della richiamata disposizione.
3. Il B., a sua volta, con unico motivo, deduce violazione di legge in relazione all’art. 589 c.p. e agli artt. 42 e 43 C.P. ed agli artt. 1 e 4 D.l.vo 626/1994 e 2087 c.c.
Rileva che il giudice erroneamente ha ritenuto non sussistente una delega di funzioni idonea ad esonerare da responsabilità l’imputato, posto al vertice di un’impresa complessa e organizzata con vari livelli di responsabilità.
Rileva, in particolare, che solo B.I. aveva l’incarico di direttore tecnico dell’impresa, la quale era costantemente impegnata in un rilevante numero di cantieri, da 15 a 20; che l’imputato si occupava di tutta l’attività amministrativa e dei rapporti con banche e clienti, mentre il solo B.I. si occupava dei cantieri quale direttore tecnico; che alla posizione di garanzia di quest’ultimo si aggiungeva quella del capo cantiere L. e del vari tecnici con funzioni di controllo sul cantiere. Osserva che la corte d’Appello aveva commesso un errore applicando I principi della responsabilità indistinta dei componenti il consiglio di amministrazione e della inderogabilità delle funzioni di garanzia, con ingiustificata moltiplicazione delle responsabilità. Evidenzia che erroneamente la Corte aveva negato rilevanza alla circostanza che in tutti gli altri ponteggi del medesimo cantiere non fosse stata rilevata alcuna anomalia, poiché la deduzione difensiva mirava a far notare come ciò che si era verificato in cantiere non poteva essere riferito alla responsabilità del vertice dell’impresa, ma solo alle persone che avevano la responsabilità diretta del cantiere. Richiama l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale in materia antinfortunistica la sussistenza di una delega di funzioni idonea a esonerare da responsabilità il datore di lavoro poteva essere desunta dalle dimensioni della struttura aziendale. Conclude affermando la mancanza di qualsiasi profilo di colpa a lui ascriviibile, non essendogli attribuita un’inadempienza organizzativa, ma soltanto il difetto di montaggio di un singolo ponteggio.
Diritto
4. E’ infondato il primo motivo di ricorso avanzato dal L.. Invero le notazioni relative alla ingerenza del B. nella organizzazione dei lavori, nonostante il distacco, formalizzato mediante comunicazione all’Inps reiterata nel tempo, dei dipendenti della V.S. presso la “B.G. & I.” s.r.l., così come la presunta estensione dell’oggetto del rapporto di subappalto sino a ricomprendere quelle, di carpenteria, in corso di esecuzione al momento dell’infortunio, restano supposizioni non confortate da supporto probatorio.
Quanto, poi, ai rilievi riguardo all’attendibilità delle deposizioni testimoniali valorizzate dai giudici del merito, le stesse si risolvono in mere valutazioni alternative degli elementi probatori, irrilevanti in sede di legittimità in difetto di profili di illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Va considerato, inoltre (e la notazione toglie in radice ogni valenza a qualsiasi rilievo) che il ragionamento sotteso alla censura è privo di decisività, poiché, anche ove facesse emergere la responsabilità del B., non varrebbe in ogni caso a esonerare da responsabilità il ricorrente, direttamente coinvolto nella sorveglianza dell’andamento dei lavori in qualità di capo cantiere, valendo, al più, a configurare la responsabilità di quest’ultimo come concorrente.
4.1.Il secondo motivo è parimenti infondato, a fronte della congrua motivazione in punto di determinazione della pena, sul rilievo della gravità del fatto. Quanto al presunto profilo di illogicità della motivazione in ragione della correlazione della determinazione della pena base con l’intervenuta prescrizione delle contravvenzioni e della conseguente riduzione della pena, va rilevato che nessuna contraddizione o illogicità è evidenziabile, non essendo l’argomentazione in ordine alla riduzione della pena per prescrizione posta in relazione con la quantificazione del trattamento sanzionatorio relativo al reato di omicidio colposo.
4.2. L’Infondatezza del terzo motivo di ricorso, attinente alla mancata applicazione dell’indulto, si trae, poi, dal principio giurisprudenziale di seguito enunciato, espressione di un indirizzo consolidato: “Il ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo qualora il giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel caso in cui abbia omesso di pronunciarsi deve essere adito il giudice dell’esecuzione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43262 del 22/10/2009 Rv. 245106).
5. Passando all’esame del ricorso proposto dal B., si rileva che la responsabilità del medesimo è stata correttamente fatta discendere dal principio in forza del quale “in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda, e quindi con i vertici dell’azienda stessa, ovvero nel presidente del consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni” (Sez. 3, Sentenza n. 12370 del 09/03/2005 Rv. 231076), con la conseguenza che “gl
i obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” (Sez. 4, Sentenza n. 6280 del 11/12/2007 Rv. 238958).
Ne discende la possibilità della coesistenza, all’interno della medesima impresa, di più figure aventi tutte la qualifica di datore di lavoro, cui incombe l’onere di valutare i rischi per la sicurezza, di individuare le necessarie misure di prevenzione e di controllare l’esatto adempimento degli obblighi di sicurezza.
Il principio del cumulo delle responsabilità in capo ai rappresentanti della componente datoriale non trova applicazione nel caso di esistenza di una delega esplicita o implicita della posizione di garanzia, quest’ultima ravvisabile nell’incarico conferito, anche in assenza di atto espresso, a una figura prevenzionale specificamente preposta a garantire gli obblighi attinenti alla sicurezza. La delega non espressa, poi, presuppone una ripartizione di funzioni imposta dalla complessità dell’organizzazione aziendale, che dipende comunque dalle dimensioni dell’impresa (Sez. 4, Sentenza n. 16465 del 29/02/2008 Rv. 239537)
5.1. I giudici di merito risultano aver fatto corretta applicazione dei principi richiamati. Posto che dalle qualifiche aziendali non possono farsi discendere direttamente specifici ruoli sul piano prevenzionistico, per un verso, hanno correttamente escluso, in difetto di precisazioni risultanti dagli atti sodali riguardo all’estensione del ruolo e delle competenze attribuite (specificamente in ambito di sicurezza sul lavoro) a soggetti determinati, che il semplice conferimento dell’incarico di direttore tecnico dell’impresa a I.B., con attribuzione di “funzioni tecniche”, equivalga a una efficace delega in materia antinfortunistica. Per altro verso, preso atto della mancanza di una delega formale, hanno escluso la sussistenza di una delega implicita o presunta in materia antinfortunistica derivante dalle dimensioni e dall’organizzazione dell’impresa, rilevando, con affermazione non contestata nel ricorso, che nella stessa “non è presente una divisione in rami, settori o servizi”, sì da poter individuare singole posizioni di responsabilità in base alle suddivisioni dell’organizzazione aziendale.
D’altra parte la decisione richiamata dalla difesa del ricorrente si riferisce a una situazione differente da quella che si registra nel caso che ci occupa, riguardante un caso in cui l’imputato aveva predisposto un plano di sicurezza contenente specifiche indicazioni sul montaggio del ponteggio, e, oltre a) capo cantiere, era stato nominato un coordinatore della esecuzione dei lavori: sulla scorta di tali rilievi, era stato affermato che sul concreto adempimento delle prescrizioni di sicurezza erano tenute a vigilare altre figure responsabili e che non erano rinvenibili profili di colpa ascrivibili al datore di lavoro.
Per tutte le ragioni indicate entrambi i ricorsi vanno rigettati. Ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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