Con la sentenza n. 6913 del 6 novembre 2018, la Corte di Cassazione affronta il tema dell’obbligo di consegna di documenti agli ispettori del lavoro qualora sia in corso un’indagine penale e, in particolare l’ultimo comma dell’art. 4 della Legge 22 luglio 1961, n. 628 che “punisce con l’ammenda coloro i quali, legalmente richiesti dall’ispettorato del lavoro di fornire notizie sul processo produttivo, non le forniscano o le diano scientemente errate od incomplete – configura nella sua forma omissiva un reato permanente, la cui consumazione si protrae fino alla data della relativa denuncia penale in danno del responsabile”
La cassazione specifica che il reato di omessa consegna della documentazione legalmente richiesta dall’Ispettorato del Lavoro non si configura quando l’ispettore agisce nell’ambito di indagini penali.
Il reato previsto dall’art. 4 della legge n. 628/1961, ha precisato la Corte di Cassazione, ha la sua ratio nel rafforzamento dei poteri di vigilanza dell’Ispettorato del lavoro in sede amministrativa, sia per la richiesta di notizie sia per l’omessa esibizione di documenti e quindi lo stesso non è configurabile quando l’ispettore agisce quale delegato della Procura della Repubblica, o anche in via autonoma quale autorità di P.G. (ad esempio Carabinieri o Polizia di Stato) in indagini penali.
Nel caso specifico, infatti, gli Ispettori agivano quali delegati della Procura in riferimento ai procedimenti penali in corso. Di conseguenza il rifiuto alla consegna non può configurarsi come reato poiché nessuna persona può essere obbligata a produrre della documentazione contro la sua posizione processuale nell’ambito di una indagini penali.
Fatto
La Corte di appello di Messina con sentenza del 10 febbraio 2017 ha confermato la decisione del Tribunale di Messina del 24 settembre 2015 che aveva condannato V.C. alla pena di mesi 1 di arresto e di € 300,00 di ammenda, relativamente al reato di cui all’art. 4, comma 7, legge n. 628/1961, perché, nella qualità di committente dei lavori edili affidati alla ditta P.R. nell’abitazione di proprietà sita in Longi […] non forniva entro il termine stabilito, le informazioni legalmente richieste dagli ispettori del lavoro come si ricava dal verbale di diffida del 5 dicembre 2012, e successiva diffida del 10 aprile 2013, notificata il 29 ottobre 2012. Accertato il 29 ottobre 2012.
L’imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
1. Violazione di legge relativamente al diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24, Cost. e all’assenza di un obbligo di consegna dei documenti ex art. 4, legge 628/1961 nell’ambito di un’indagine penale.
La richiesta di produzione documentale, nel caso in odierno giudizio, non è stata effettuata per l’espletamento di indagini di polizia amministrativa, art. 8, d.P.R. 520/1955, e neanche per lo svolgimento di compiti di vigilanza o istituzionale dell’Ispettorato del lavoro, ma nell’ambito di procedimenti penali dopo l’infortunio mortale di S.V., che stava lavorando nell’immobile della ricorrente. V.C., infatti, potrebbe essere indagata per il reato di omicidio colposo in concorso (vedi Sez. 4, n. 34701/2015).
Nella diffida del 10 aprile 2013 espressamente si legge che l’Ispettore agiva su delega della Procura della Repubblica di Patti, in riferimento ai procedimenti penali n. 2327/2011 RGNR mod 21 e 626/2011 RG mod 21. Anche la sentenza di primo grado ha dato atto che l’Ispettore aveva agito su delega della Procura della Repubblica.
Considerare la ricorrente obbligata a fornire la documentazione nell’ambito di un procedimento penale (con effetti anche negativi per la sua posizione) viola l’art. 24, Costituzione. Nessuno può essere, infatti, obbligato a produrre documenti contro la sua posizione processuale nell’ambito delle indagini penali.
2. Prescrizione del reato. Il reato si prescrive nel termine massimo di cinque anni, decorso proprio tra la data del dispositivo e il deposito della motivazione della sentenza impugnata, sentenza del 10 febbraio 2017, data commesso reato del 29 ottobre 2017 con termine massimo della prescrizione al 29 ottobre 2012 (la sentenza impugnata è stata depositata il 31 ottobre 2017).
Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
Il ricorso risulta fondato relativamente al primo motivo (assenza di un obbligo di consegna dei documenti nell’ambito di un’indagine penale).
Relativamente all’eccepita prescrizione si deve rilevare che il reato non risultava prescritto alla data della decisione impugnata. Si tratta di un reato permanente, e la consumazione si protrae fino alla denuncia penale in danno del responsabile: «In tema di igiene e sicurezza del lavoro, l’ultimo comma dell’art. 4 della Legge 22 luglio 1961, n. 628 – che punisce con l’ammenda coloro i quali, legalmente richiesti dall’ispettorato del lavoro di fornire notizie sul processo produttivo, non le forniscano o le diano scientemente errate od incomplete – configura nella sua forma omissiva un reato permanente, la cui consumazione si protrae fino alla data della relativa denuncia penale in danno del responsabile» (Sez. 3, n. 4687 del 10/12/2002 – dep. 31/01/2003, Parmegiani, Rv. 22717501).
Comunque, «Ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa. (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso che deduceva l’intervenuta estinzione del reato per decorso del termine della prescrizione, essendo il medesimo maturato dopo la pronuncia della sentenza, anche se prima della data di notificazione dell’estratto della decisione all’imputato contumace)» (Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015 – dep. 18/05/2015, Lione, Rv. 26336501).
Il reato previsto dall’art. 4, legge n. 628/1961 ha la sua ratio nel rafforzamento dei poteri di vigilanza dell’Ispettorato del lavoro in sede amministrativa, sia per la richiesta di notizie e sia per l’omessa esibizione di documenti.
Il problema posto dalla ricorrente sia in appello e sia nel ricorso per cassazione riguarda la possibilità della configurazione del reato in oggetto anche quando l’Ispettorato del lavoro agisce non quale autorità di vigilanza, amministrativa, ma in una indagine penale, per delega della Procura (o anche in via autonoma).
L’art. 4, citato, espressamente prevede che «Coloro che, legalmente richiesti dall’Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate ed incomplete, sono puniti […]».
E’ la stessa norma, quindi, che limita la sua applicazione solo all’attività dell’Ispettorato relativa all’art. 4 e 8, legge 22 luglio 1961, n. 628, e non anche all’attività di polizia giudiziaria svolta da appartenenti all’Ispettorato del lavoro.
Del resto se la P.G. (ad esempio Carabinieri o Polizia di Stato) chiedesse documenti in sede di indagini penali a un indagato (o possibile indagato) non si configurerebbe certamente un reato, al rifiuto dell’esibizione. La P.G. ha poteri suoi propri già molto incisivi, infatti potrebbe sequestrare i documenti, se fosse necessario; cosa che certamente in sede amministrativa non è consentito agli Ispettori del lavoro, con la stessa facilità e con gli stessi poteri della polizia giudiziaria in sede di indagine penale.
Nel caso in giudizio, è documentalmente accertato che gli Ispettori del lavoro hanno richiesto la documentazione in oggetto quale attività di polizia giudiziaria nell’ambito del procedimento di indagine per la morte di S.V., che stava lavorando nell’Immobile di proprietà della ricorrente. L’Ispettore agiva in delega della Procura di Patti in riferimento ai procedimenti penali n. 2327/2011 e 626/2011 R.G. mod. 21.
Conseguentemente il rifiuto alla consegna di documentazione (nella specie contratto di appalto e lavori oggetto del contratto) non può configurare il reato contestato.
Deve però osservarsi, per completezza, che potrebbero configurarsi altri reati, relativamente alla particolarità del caso (ad esempio il favoreggiamento), ma tale indagine non è stata compiuta dai giudici di merito e questa Corte non ha gli elementi di fatto per le valutazioni in diritto.
Può conseguentemente esprimersi il seguente principio di diritto: «Il reato previsto dall’art. 4, legge n. 628/1961 ha la sua ratio nel rafforzamento dei poteri di vigilanza dell’Ispettorato del lavoro in sede amministrativa, sia per la richiesta di notizie e sia per l’omessa esibizione di documenti e, quindi, lo stesso non è configurabile quando l’Ispettorato del lavoro agisce (quale delegato della Procura della Repubblica, o anche in via autonoma quale autorità di P.G.) in indagini penali».
La sentenza deve quindi annullarsi senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 6/11/2018
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