Ancora una sentenza della Corte di Cassazione che mette in evidenza l’importanza della formazione dei lavoratori per lo svolgimento della mansione alla quale sono adibiti e l’addestramento degli stessi all’uso di attrezzature di lavoro ad essi affidati.
La suprema Corte ha infatti confermato la sentenza di condanna inflitta nei gradi inferiori di giudizio sia al datore di lavoro sia al responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) dell’azienda ritenuti responsabili per infortunio mortale di un lavoratore durante le operazioni di abbattimento di un pino mediante l’uso di una motosega.
Entrambi, infatti, omettevano di formare e preparare adeguatamente il lavoratore sui rischi del lavoro.
“Al RSPP, quale responsabile del servizio di prevenzione e rischi e di responsabile aziendale per la sicurezza, si deve imputare il grave inadempimento a siffatto obbligo pacificamente rientrante nelle proprie mansioni, a tanto non potendo supplire il mero affiancamento “del neo assunto ad un operaio esperto” quale procedura di addestramento impiegata fino alla data dell’infortunio. Neppure il Datore di Lavoro, in veste di legale rappresentante della cooperativa, può andare esente da responsabilità, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, per aver tollerato (e di fatto avallato) la mancata effettuazione dei corsi di addestramento per i neo – assunti che avrebbero reso necessario l’impiego di risorse finanziarie e la riduzione delle ore di lavoro attivo degli operai, trattandosi di scelte in materia di organizzazione gestionale della cooperativa, facente capo esclusivamente al suddetto imputato in posizione apicale.”
Sentenza
Fatto
C.A. e R.A. erano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Montepulciano per rispondere del delitto p. e p. dall’art. 113 c.p., art. 589 c.p., comma 2 perchè, in cooperazione colposa tra loro: il primo, quale Presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della soc. coop. a r.l. “Le Querce”; il secondo, in veste di responsabile del servizio di prevenzione dei rischi e di responsabile aziendale per la sicurezza, per colpa generica ovvero per negligenza, imprudenza ed imperizia – consistita: nell’aver omesso di informare e formare adeguatamente l’operaio comune avventizio M.L.; nell’avergli affidato un lavoro di taglio boschivo con uso di motosega; nell’aver omesso di prevedere il caso del c.d. “albero impigliato” nel piano operativo / sostitutivo di cantiere, trattandosi di evenienza frequente nei lavori di diradamento boschivo; nell’aver omesso infine di fornire all’operaio le attrezzature complementari per affrontare la procedura di abbattimento di un albero impigliato quali la leva d’abbattimento, lo zappino ed il “triforte” -cagionavano la morte del M. (operaio comune avventizio) che,mentre era intento ad abbattere con il solo uso della motosega un pino del diametro di 25-30 cm., circa, la cui chioma era rimasta impigliata nella vicina vegetazione, omettendo di adottare le corrette procedure e di usare le anzidette attrezzature complementari che gli avrebbero consentito di operare in condizioni di maggior sicurezza, veniva schiacciato dal peso del pino che improvvisamente si spostava dalla posizione di stallo, rotolandogli addosso. Fatto accaduto in (Omissis).
Con sentenza in data 25 ottobre 2010, il Giudice di prime cure, sulla base di quanto emerso dall’istruttoria, ritenne che l’operaio avesse erroneamente proceduto all’abbattimento dell'”albero impigliato”, avendo effettuato il secondo taglio dell’albero senza lasciare la c.d. cerniera ovvero lasciandone una insufficiente a sostenere il peso dello stesso di guisa che questo,una volta libero, effettuò una rotazione incontrollata attingendo la vittima all’addome. Ravvisò peraltro il nesso di causa tra i comportamenti commissivi ed omissivi ascritti agli imputati nel’capo di incolpazione e l’evento.
Giudicò il Tribunale del tutto irrilevante l’ulteriore contestazione della mancata e dotazione degli strumenti idonei e necessari attesochè l’infortunio si era verificato in un momento molto probabilmente antecedente a quello in cui si sarebbe potuto far ricorso all’uso di strumenti idonei a completare l’operazione di abbattimento dell’albero in sicurezza.
Con sentenza emessa in data 20 dicembre 2011, la Corte d’appello di Firenze confermava la pronunzia di primo grado, rimarcando, in particolare, per quanto in questa sede rileva, la sussistenza, al di là di ogni ragionevole dubbio, del nesso di causa fra l’infortunio (cagionato dalla mancata formazione e dall’omesso addestramento dell’operaio, ciononostante incaricato di usare la motosega, pur in difetto della necessaria qualifica di operaio specializzato, come contestato agli imputati) e l’evento – morte, non potendo le pregresse patologie – maxime di natura cardiaca – integrare cause preesistenti o sopravvenute idonee ad e
scludere il predetto rapporto di causalità.
Entrambi gli imputati propongono, per tramite dei medesimo difensore, distinti ricorsi per cassazione, di identico contenuto, fatta eccezione per due specifiche censure esclusivamente riferite al ruolo di presidente della cooperativa ricoperto dal C..
Con il primo motivo di ricorso, lamenta la difesa la violazione dell’art. 420 ter cod. proc. pen.. La Corte d’appello ebbe immotivatamente a rigettare l’istanza di rinvio tempestivamente inviata dal difensore siccome impedito a presenziare all’udienza a cagione di un concomitante impegno professionale; da qui la nullità del procedimento per violazione del diritto di difesa. A causa peraltro della mancata partecipazione del difensore all’unica udienza del giudizio d’appello, fu allo stesso precluso sollevare tempestivamente l’eccezione di nullità a regime intermedio, del procedimento di primo grado per violazione dell’art. 72 Ord. Giud., giusta l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte,di cui alla sentenza n. 13716 del 6 aprile 2011, per aver preso parte alle udienze 16 marzo e 28 settembre 2010, quale P.M. d’udienza, il VPO dott. Massimo Rossini in sostituzione di P.M. togato in procedimento nel quale si era tenuta l’udienza preliminare.
Con la seconda, terza e quarta doglianza (intimamente connesse e quindi da trattarsi congiuntamente) si denunzia la violazione dell’art. 606 c.p.p. lett. c) e lett. e) per avere il Giudice d’appello confermato l’ordinanza del Tribunale 1 dicembre 2009, reiettìva dell’Istanza della difesa di far partecipare, al dibattimento, il proprio consulente tecnico di parte, già ritualmente nominato e citato,sul rilievo illogico della mancata indicazione, nell’atto d’appello, delle domande che la difesa, a causa, di ciò non avrebbe potuto rivolgere al predetto consulente.
Secondo i ricorrenti ciò integrerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra le parti del processo penale, inammissibile nell’ambito del c.d. giusto processo oltrechè una specifica nullità di ordine generale riconducibile alle previsioni dell’art. 178, lett. c), assoggettata alla deducibilità al regime intermedio, come previsto dall’art. 180 c.p.p.. Di talchè, avendo la difesa tempestivamente provveduto al rilievo di detta eccezione nel giudizio di primo grado ed anche con i motivi d’appello, la Corte d’appello sarebbe comunque incorsa nel dedotto vizio motivazionale, avendo condiviso la natura di mera irregolarità non comportante nullità della determinazione assunta dal Tribunale. Con il quinto motivo lamenta il difensore degli imputati la violazione dell’art. 589 c.p., comma 2 per aver la Corte d’appello ravvisato la sussistenza del nesso di causa tra i comportamenti degli stessi e la morte dell’operaio in difetto di una corretta ricostruzione della dinamica dell’incidente. Secondo la i difesa, avrebbe dovuto affermarsi che l’evento mortale non fu cagionato dalla mancata formazione della vittima (che, grazie all’esperienza maturata nel taglio boschivo, correttamente operò nell’abbattimento dell’albero e nella risoluzione delle difficoltà che presentava il caso del c.d. albero appoggiato), ma da fatti sopravvenuti, imprevedibili ed eccezionali avendo provocato la contro-spinta esercitata sul tronco dall’albero di appoggio, la rottura della cerniera lasciata secondo la consueta prassi, una frazione di secondo prima del previsto, allorchè il M. stava riponendo a terra la motosega. Inoltre, dopo l’incidente, durante il ricovero in ospedale, un’ulteriore serie di sfortunate circostanze – ed in particolare la patologia cardiaca – ebbero a condurre a morte l’operaio.
Con il sesto motivo, si duole il difensore della violazione del principio del favor rei allorchè la Corte distrettuale, ha inteso confermare le statuizioni in punto pena della sentenza di primo grado e la mera equivalenza tra l’aggravante contestata e le concesse attenuanti generiche, sul rilievo di un’immutazione dei luoghi dopo l’incidente, ascritta, senza prove, agli imputati. In riferimento alla specifica posizione del C., il difensore ha altresì dedotto una settima censura, così riassunta:
1. l’omessa motivazione della sentenza impugnata in punto all’affermata colpevolezza anche di costui, in veste di presidente della cooperativa, non tenendo conto degli assunti della difesa circa il difetto di consapevolezza del C. degli interventi in materia di sicurezza del personale, in ordine ai quali il solo R. (titolare di apposita delega di mansioni in materia di attività formativa) aveva possibilità di spesa e di investimento, risultando al C. demandato unicamente il controllo sotto il profilo formale.
2. la Corte d’appello, incorrendo in ulteriore vizio di motivazione, ha omesso di spiegare le ragioni che l’avrebbero indotta ad equiparare, agli effetti del giudizio di bilanciamento tra circostanze, la posizione del C. a quella del R., avendo la documentazione prodotta escluso che il primo fosse mai intervenuto in attività prettamente operative del personale dipendente.
Conclude il difensore per l’annullamento della impugnata sentenza.
Diritto
I ricorsi sono infondati e devono quindi esser respinti con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico del ricorrenti, ex art. 616 cod. proc. pen..
Il primo motivo è privo di pregio. La Corte d’appello ha ineccepibilmente denegato il richiesto rinvio dell’udienza sul rilievo dell’imminente prescrizione del delitto di omicidio colposo per cui è processo oltrechè del difetto di prova dell’asserita anteriorità della comunicazione al difensore istante della fissazione della medesima udienza nell’altro procedimento penale per furto, pendente dinanzi al Tribunale di Montepulciano, rispetto alla data di notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello.
Per completezza, giova aggiungere che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, “la partecipazione al processo per lo svolgimento delle funzioni del Pubblico Ministero di vice-procuratori onorari al di fuori dei casi previsti dall’art. 72 Ord. Giud. costituisce mera irregolarità, non sanzionata da alcuna nullità”, cosiccome statuito da questa stessa Sezione Quarta con sentenza n. 32279 del 2009 nel solco di un orientamento giurisprudenziale prevalente e consolidato,citato nella motivazione della decisione, condiviso anche dal Collegio.
Egualmente. infondate vanno giudicate la seconda, la terza e la quarta doglianza. Alla stregua della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3 n.35702 del 2009; Sez. 3 n. 25992 del 2009) il diniego dell’autorizzazione alla parte di farsi assistere da consulente integra una nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi sanata, in quanto verificatasi in presenza della parte stessa, ove non eccepita prima del compimento dell’atto ovvero, se ciò non sia possibile, immediatamente dopo. Nel caso di specie, deve affermarsi l’intervenutà sanatoria dell’eccepita nullità in quanto non tempestivamente dedotta all’udienza 1 dicembre 2009, dinanzi al Giudice di prime cure, diversamente dalla tesi dedotta dai ricorrenti, come acclarato in esito all’accesso agli atti (imposto e doveroso, attesa la natura della censura dedotta). Il quinto motivo ed il settimo motivo sub n. 1 sono inammissibili sia perchè concernono censure precluse in sede di legittimità sia perchè manifestamente in
fondati. Mediante la deduzione di infondati vizi di violazione dell’art. 589 c.p., comma 2, il difensore degli imputati intende in realtà indurre questa Corte ad una non consentita “rivisitazione” delle risultanze di fatto, oggetto di congruo, logico ed ineccepibile apprezzamento della Corte distrettuale, con specifico riferimento ad una diversa ricostruzione della dinamica dell’incidente per far risalire “genesi ed epilogo (dell’infortunio) non nella mancata formazione della vittima, ma in un evento imprevedibile”, come dedotto in ricorso e quindi escludere il nesso di causa tra le condotte commissive ed omissive – connotate dai profili di colpa cosiccome imputate ai ricorrenti in ragione dei rispettivi ruoli rivestiti – e l’evento lesivo, causa del successivo decesso dell’operaio. Ora, con argomentazioni mutuate dalla sentenza di primo grado (la cui motivazione, riassuntiva mente riportata in narrativa, in caso di c.d. doppia conforme, si integra con quella emessa in grado d’appello) la Corte distrettuale, ha congruamente e logicamente ritenuto che la causa dell’infortunio fosse da individuare “esclusivamente nella mancata formazione e nel mancato addestramento dell’operaio” e nell’averlo adibito nell’impiego della motosega (con la quale aveva svolto solo poche ore di lavoro) – affidandogli in tal modo mansioni proprie di un dipendente specializzato – nonostante la qualifica di operaio comune avventizio, ancora rivestita a 57 anni di età, una volta assunto dalla cooperativa dal 25 giugno 2002. La vittima pertanto, in difetto di adeguato addestramento nel taglio degli alberi di altofusto e di esperienza consolidata nel tempo nell’uso di detto strumento di lavoro, non fu in grado di supplire a tale deficit formativo ed addestrativo, nel raffrontare in sicurezza il “pur minimo imprevisto” presentatosi nella concreta situazione di “albero impigliato” (non caduto a terra, dopo il primo taglio del tronco, perchè sostenuto dalle chiome degli alberi esistenti a valle) nella quale, trovandosi ad abbattere un pino di cm. 30 circa di diametro, cresciuto su di un terreno in pendenza, ebbe ad effettuare un secondo taglio a circa un metro dal primo “senza lasciare la cerniera ovvero lasciando una cerniera insufficiente a sostenere il peso dell’albero che, libero del peso del troncone di un metro, ha effettuato una rotazione colpendo l’operaio all’addome”.
Ciò posto, nessun dubbio poteva quindi sussistere in ordine alla responsabilità per colpa, ascritta ad entrambi gli imputati in ordine alle acclarate condotte commissive ed omissive per il mancato svolgimento di apposti corsi di formazione sul taglio degli alberi con l’ausilio della motosega, previsti solamente “sulla carta” ed, invece, “significativamente tenuti ed organizzati solo dopo questo infortunio” come altresì sottolineato dalla sentenza di primo grado.
Al R., quale responsabile del servizio di prevenzione e rischi e di responsabile aziendale per la sicurezza, si deve imputare il grave inadempimento a siffatto obbligo pacificamente rientrante nelle proprie mansioni, a tanto non potendo supplire il mero affiancamento “del neo assunto ad un operaio esperto” quale procedura di addestramento impiegata fino alla data dell’infortunio. Neppure il C., in veste di legale rappresentante della cooperativa, può andare esente da responsabilità, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, per aver tollerato (e di fatto avallato) la mancata effettuazione dei corsi di addestramento per i neo – assunti che avrebbero reso necessario l’impiego di risorse finanziarie e la riduzione delle ore di lavoro attivo degli operai, trattandosi di scelte in materia di organizzazione gestionale della cooperativa, facente capo esclusivamente al suddetto imputato in posizione apicale.
Egualmente infondati sono i motivi sesto e settimo sub n. 2. da trattarsi congiuntamente per ragioni di evidente connessione. La Corte d’appello ha congruamente esplicitato le ragioni che l’hanno indotta a confermare le statuizioni della sentenza di primo grado in punto al giudizio di bilanciamento, in termini di equivalenza, tra l’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 6 e le attenuanti generiche e l’aggravante di cui all’art. 589 cpv. cod. pen. nonchè in punto entità della pena, sull’ineccepibile ed incontestabile rilievo dell’insussistenza di qualsivoglia ulteriore apprezzamento positivo della condotta degli imputati (di certo coinvolti, in ragione dei ruoli esercitati all’interno della cooperativa, nell’immutazione del luogo del sinistro, prima ancora dell’arrivo degli Ispettori di P.G. dell’ASL tale da impedirne la ricostruzione dettagliata) oltre a quelli già valutati dal Primo Giudice e posti a base del riconoscimento in particolare delle attenuanti generiche e del giudizio di comparazione, come test è premesso. Nè – ha sottolineato la Corte distrettuale;- appariva meritevole di riduzioni della pena il C. che, rimanendo contumace, ha dimostrato di “non aver nulla da dire a propria discolpa nè di dover manifestare segni di resipiscenza”.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione – Penale Sezione IV – Sentenza n. 21284 del 17 maggio 2013
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